domenica 1 febbraio 2015

Chi apre la porta di una scuola chiude una prigione

Presentiamo due testimonianze provenienti da Paesi distanti e diversi fra loro ma uniti dalla drammaticità della situazione carceraria in un contesto di povertà.Molti dei carcerati sono minori e vivono in condizioni disumane insieme ad adulti. Si finisce in carcere spesso per fame e si esce dal carcere, dopo aver acquisito un addestramento da parte di malavitosi, pronti per essere “arruolati dalla delinquenza locale. L’istruzione si è dimostrata lo strumento fondamentale per restituire alla società persone che, riconquistata la dignità perduta, possono mettere a servizio della società i loro talenti. Grazie per quanti comprendendo l’importanza di questi progetti hanno contribuito al raggiungimento di traguardi cosi importanti. Buona lettura.


DAL MALAWI
Prima di presentarmi desidero ringraziare la nostra missionaria, Anna Tommasi, e tutti coloro che l’hanno aiutata e l’aiutano a portare avanti il progetto scuola nel carcere di Bvumbwe. Vi ringrazio perché vi siete presi a cuore il nostro futuro, perché credete che anche i ragazzi che si trovano in detenzione possono diventare cittadini onesti e laboriosi. Molti di noi non hanno potuto andare a scuola per mancanza di mezzi e questa è la grande opportunità che abbiamo di studiare qui in carcere per completare gli studi. Tutto questo grazie al vostro sostegno e incoraggiamento. Noi preghiamo sempre per voi e vi chiediamo di continuare a sostenere la scuola e i nostri insegnanti.
Mi chiamo Andy Josephy Mchenga. Sono nato nel villaggio di Chileka, distretto di Blantyre. Sono il quarto di sei figli e l’unico maschio della famiglia. I miei genitori sono anziani, ma devono ugualmente lavorare i campi per potersi mantenere.
Nel 2006, alla fine della scuola primaria, ho avuto un posto nella scuola superiore di Luchenza dove ho cominciato gli studi superiori interrotti poi per problemi finanziari a motivo di una disgrazia. La scuola era lontana da casa quindi vivevo con mia sorella sposata a Luchenza. La sua famiglia mi offriva vitto e alloggio, ma è successo qualcosa di terribile che ha sconvolto tutto e tutti. Il marito di mia sorella fu assassinato e a noi non restava che una possibilità: tornare al nostro villaggio nativo di Chileka.Tutto questo succedeva durante le vacanze del secondo semestre del terzo anno delle superiori, nel 2008. All’inizio del terzo trimestre i miei genitori e parenti hanno cercato di mettere insieme i soldi per pagare la tassa scolastica, comperare il materiale scolastico, per i viaggi ecc. ma non ci sono riusciti. Ho visto così svanire i miei sogni.
Nel 2009 ho cominciato a studiare per conto mio con libri presi a prestito per provare a sostenere gli esami di maturità come privatista. Ma i miei genitori non sono riusciti ad avere i soldi necessari per pagare la tassa degli esami. A questo punto ho perso completamente la speranza e ho messo da parte tutte le mie ambizioni.
Ho trascorso quattro anni a casa sperimentando la sofferenza della povertà, che andava aumentando di giorno in giorno. I genitori erano ormai anziani e il lavoro dei campi era compito mio e di mia sorella, ma il raccolto era misero, insufficiente anche solo per mangiare. Eravamo in una situazione di estrema povertà! Io andavo ad aiutare altri nel lavoro dei campi per guadagnare qualche cosa, ma questo non migliorava affatto la nostra situazione.
Alcuni amici mi consigliavano di fare qualcosa per uscire da quella situazione di miseria e ho finito per entrare a far parte del loro gruppo e ho cominciato a bere e a fumare. I miei amici mi incoraggiavano dicendo che la birra è la soluzione per lo stress e l’ansia e io stesso lo sperimentavo perché quando bevevo dimenticavo la povertà con cui dovevo convivere. Mi dicevano pure che anche loro non avevano finito gli studi, ma non facevano una vita miserabile come la mia. Alla fine mi dissero che erano ladri e che i soldi che spendevano nel bere li guadagnavano rubando.
Una notte mentre stavamo bevendo in un bar, i miei amici organizzarono una spedizione che non mi aspettavo, comunque li seguii fino alla casa di una signora che viveva sola. La casa era circondata da un muro di mattoni e appena arrivati alcuni di loro ordinarono a me e a un altro di restare fuori. Dopo pochi minuti ci passarono delle porte in legno al di sopra del muro ordinandoci di portarle ad una certa persona lontano dal nostro villaggio. Proprio durante il tragitto per trasportare quelle porte fummo presi e arrestati.Al processo fummo condannati a tre anni di carcere, mentre gli altri si godevano la libertà. Ero terrorizzato e pensavo che tutto era andato nel peggiore dei modi, il mio futuro era rovinato. Tutto questo succedeva nel 2013 quando entrai nel carcere giovanile di Bvumbwe.
La mia sorpresa fu grande quando mi resi conto che nel carcere c’era la scuola primaria e secondaria, grazie agli aiuti che la nostra missionaria, Anna Tommasi, riceve dall’Italia. Ritornai in me stesso e decisi di riprendere la scuola da dove l’avevo lasciata. Dopo tanto tempo ripresi a prefiggermi dei traguardi da raggiungere. Il primo era quello della maturità e in seguito anche l’università. Cominciai a studiare seriamente seguendo il consiglio dei professori che mi incoraggiavano a mettercela tutta per poter avere un punteggio buono che mi consentisse l’accesso all’università. Sapevo che potevo contare sull’aiuto di Sister Anna, che per me e per tutti i miei compagni è come una madre.
In luglio 2014 ho sostenuto gli esami di maturità e sono riuscito ad ottenere 24 punti (in Malawi si conta alla rovescia quindi più bassi sono i voti e migliore è il risultato. Per ogni materia si va da 10 a 1). Sono contento del risultato anche se speravo di scendere sotto i 20 punti. Ovviamente accetto il risultato con soddisfazione perché ottenuto nella difficile situazione del carcere qui in Malawi. Ora il mio sogno è di andare all’università e laurearmi se potrò avere l’assistenza economica necessaria. Mi restano comunque ancora alcuni mesi da trascorrere in carcere quindi ho deciso di ripetere alcuni esami per ottenere un punteggio migliore in modo da avere più probabilità di essere scelto e inserito nei programmi governativi.
Davanti a me c’è tutto un futuro luminoso da costruire con impegno e serietà. Sono veramente riconoscente a tutti coloro che in un modo o nell’altro collaborano affinché noi ragazzi qui a Bvumbwe possiamo completare i nostri studi. Il Signore vi benedica tutti e vi doni lunga vita.
Andy

DALLA BOLIVIA
Sono una religiosa delle Missionarie della Dottrina Cristiana. Nel 1993 lasciavo l’Italia per lavorare nella nostra missione del “Barrio” Vittoria di Santa Cruz de la Sierra in Bolivia. 
Un giorno una mia consorella mi invitò ad andare con lei a far visita al carcere femminile perché lì avremmo trovato più di cinquecento bambini che vivevano con le loro mamme senza andare a scuola, senza conoscere il catechismo e senza ricevere i sacramenti dell’iniziazione cristiana. Io rimasi profondamente colpita dalle condizioni di miseria, di abbandono, di ignoranza… Non si poteva lasciar vivere la gente in quelle condizioni disumane e prima della catechesi bisognava fare promozione umana. Trovai non poche difficoltà per realizzare il mio desiderio ma tenni duro e iniziai a pensare cosa fare e come farlo. 
Prima mi occupai dei bambini: successivamente, grazie ad un progetto finanziato con i fondi dell’8 per mille, della formazione delle mamme per insegnare un mestiere a queste donne. Il progetto fu un successo ma per proseguire oltre che acquistare macchine da cucire, macchine da maglieria, stoffe, filati, tavoli, sedie ecc… era necessario trovare un locale adeguato. 
Raccolsi tutte le mie forze ed andai a parlare con i responsabili, dicendo loro che avevo in mano un finanziamento per la realizzazione di un laboratorio di cucito che fu costruito in poco tempo. 
Comprai tutto il necessario e feci specializzare alcune donne. Attivando i corsi mi resi conto che molte donne erano analfabete e in poco tempo organizzai la scuola primaria e media. Feci in modo che la scuola in carcere risultasse essere una sezione distaccata della scuola statale di zona. Tante furono le donne che si entusiasmarono e seguirono i corsi. 
Parlando con i miei superiori venni a conoscenza dell’associazione OPAM e tornando in Italia andai a visitare il magico ufficio e così incominciò a diventare realtà il mio sogno. Gli amici e i benefattori dell’OPAM non si lasciarono vincere in generosità e mi approvarono un primo, un secondo ed un terzo progetto. Quanti miracoli in tutti questi anni! Mamme e bambini impararono a leggere e scrivere e così incominciarono a tagliare e confezionare vestiti, gonne, pantaloni… Il mio desiderio ora era quello di lavorare anche nel carcere maschile ma mi consigliarono di evitarlo perché erano un po’ violenti. Io però volli provare e la cosa andò bene.  
Grazie ai progetti sostenuti dall’OPAM riuscii a organizzare dei corsi per radiotecnici, falegnami, elettricisti, idraulici ecc… incominciando ad alfabetizzare i più perché non sapevano leggere e tantomeno scrivere. Per aiutare sia i carcerati che le carcerate parlai con i responsabili del governo dicendo loro che desideravo dare dei crediti o la riduzione della pena a coloro che si impegnavano nello studio. La cosa fu possibile e la gioia e la commozione dei carcerati fecero sì che gli iscritti furono tantissimi. Tante sono le persone che hanno imparato a usare gli occhi non solo per vedere, ma anche per leggere e scrivere e così poter aiutare i loro figli nel fare i compiti. Che commozione vedere tanta gente cambiare di condotta e piangendo pronunciare la parola GRAZIE!  
Nel carcere però vi era un gran problema che in qualche modo bisognava risolvere. I carcerati, specialmente gli stranieri, restavano abbandonati per anni perché non potevano pagare un avvocato, Era questa una gran sofferenza. Mi feci coraggio e andai all’università privata “NUR” per spiegare la situazione e, vista l’attenzione, mi spinsi a chiedere se era possibile mettere una sezione staccata di giurisprudenza. Dopo un tempo di riflessione la risposta fu positiva, ed io iniziai a fare un lavoro di sensibilizzazione all’interno del carcere. Ebbi subito la risposta positiva da parte di un gruppo di giovani che si iscrissero a Giurisprudenza e terminati i corsi i primi laureati iniziarono la loro attività forense andando tutti i giorni al Palazzo di Giustizia per portare avanti le pratiche dei loro compagni. Successivamente altri sei carcerati si sono laureati e dei sei 2 sono il frutto di corsi di alfabetizzazione. E’ possibile che a 18 anni uno vada in carcere senza sapere né leggere e né scrivere ed oggi difenda i suoi compagni? Vi mando l’articolo di un quotidiano di Santa Cruz dove è stato dato un ampio risalto alla notizia perché è la prima volta che accade un miracolo simile.  
I miracoli non li fanno solo i santi, ma anche noi uniti per un unico ideale, quando apriamo il nostro cuore e generosamente diamo del nostro a questa gente che sta pagando i suoi sbagli. Da parte dei 368 carcerati, che hanno beneficiato dei corsi di alfabetizzazione e dell’aiuto materiale e spirituale, giunga fino a voi il loro grido di gratitudine.  
Da quest’anno io sono stata trasferita in missione in una zona rurale tra la gente che vive nelle capanne. Anche questa è una bellissima esperienza, ed io sono felice di aiutare gli ultimi ed i più deboli. Due volte al mese però percorro 160 Km per arrivare a Santa Cruz de la Sierra e poter continuare l’attività di recupero nel carcere.  
Ringrazio gli amici dell’OPAM che mi hanno sostenuta in più progetti dimostrando amore perché senza l’aiuto di tanti, non avrei potuto fare nulla. Inoltre è così che ci si può sentire tutti missionari. Con affetto, 
 Sr. Maria Alessandra Carosone


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