Quando sentiamo parlare di
cercatori d’oro ci tornano alla mente immagini tramandate dai film della
vecchia America ai tempi di quel fenomeno conosciuto come «corsa dell’oro», o
«febbre dell’oro».
Ma la corsa all'oro esiste ancora ed è
soprattutto in Africa che si concentra. In Burkina Faso il fenomeno ha
raggiunto dimensioni preoccupanti e sta letteralmente distruggendo il tessuto
sociale ed economico burkinabè.
“Il Paese degli uomini integri” (questo significa
Burkina Faso), uno dei Paesi più poveri del mondo, è fra i principali forzieri
d’oro dell’Africa. L’industria estrattiva dell’oro rappresenta una delle
principali attività economiche contribuendo per il 20% al PIL nazionale.
Quella che potrebbe costituire una ricchezza per
la crescita e lo sviluppo del Paese, in realtà si sta rivelando una
maledizione, come purtroppo accade a tutti quei Paesi, soprattutto africani,
che hanno ricevuto in dono dal Creatore risorse naturali in abbondanza.
Le miniere sono nelle mani di multinazionali che hanno
pieno potere e agiscono incuranti della popolazione: costringono interi
villaggi a spostarsi per aprire nuovi siti estrattivi, sfruttano manovalanza
locale a bassi costi, sono esentati dal versare imposte e destinano quasi tutto
l’oro estratto all’esportazione.
Tutto questo non fa che
procurare benefici al Nord del Mondo mentre il popolo burkinabè vede peggiorare
di giorno in giorno le sue misere condizioni di vita.
Ma c’è di più. La febbre
dell’oro ha contagiato la popolazione del Burkina e così, accanto ai siti
ufficiali di estrazione delle multinazionali, sono nati centinaia di siti
estrattivi abusivi. E il Governo che non riesce a controllare le multinazionali
ancor meno riesce a fermare il fenomeno delle miniere d’oro illegali che sta
mettendo KO la già fragile economia del Paese.
Ci raccontava p. Jovier: “Quando qualcuno trova un po’ d'oro in un campo, una pepita, la
notizia si diffonde rapidamente e dopo pochi giorni una folla di gente proveniente
da ogni parte si trasferisce lì per cercare il tesoro. Armati di piccone e pale
lasciano casa, lavoro, scuola, tutto... nell’illusione di una ricchezza facile.”
Siti minerari sorgono ovunque.
La terra burkinabè sembra una groviera. “I fori scavati possono avere una profondità che va da 3 o 4
metri a molto di più, anche 25 o 30 metri. Scavano verticalmente ma anche
orizzontalmente, a volte facendo lunghe gallerie che fuggono sotto la terra. Le
persone lavorano in gruppi e ogni gruppo scava una buca. I fori possono essere
molto numerosi, 30 o 40 o più e sono distribuiti su una vasta area di terreno.”
Qui i cercatori d’oro lavorano
8-10 ore in condizioni disumane: immersi nel buio, con temperature che superano
i 50 gradi e la sola aria che possono respirare è quella che i loro compagni in
superficie incanalano in coni di plastica, aria prodotta dallo sventolare di
sacchi di plastica o juta, o per i più fortunati prodotta da ventilatori. Non
ci sono macchinari. Tutto viene fatto con la sola forza delle braccia
utilizzando mazzette per spaccare le pietre e carrucole di argani di legno e
corde per portarle in superficie.
Il rischio di morire è
elevatissimo e si aggrava nella stagione delle piogge quando, a causa dei
crolli delle pareti, vengono seppellite nel fango tante persone e i loro sogni.
Famiglie intere abbandonano le
campagne e vanno a vivere nella zona intorno ai pozzi, creando villaggi di
disperati che vivono in mezzo alla polvere in baracche di sacchi di plastica e
legno.
Per scendere nei buchi non
conta l’età ma solo la resistenza e il coraggio e sono molti i bambini
utilizzati per questo per la loro corporatura che ben si adatta a pozzi di
diametri ridottissimi.
L’Unicef
parla di 500.000-700.000 minori coinvolti nelle miniere d’oro. Ma anche chi non scende nell’inferno ha la sua dose di
fatica e di rischio. Bambini e donne sono impiegati per spaccare le pietre
portate in superficie fino a ridurle in piccoli sassi poi immessi in macchine
trituratrici per farne una sabbia sottilissima. Il rumore assordante dei
generatori e di questi macchinari è la colonna sonora di questo inferno dove
non vola una parola perché la fatica lascia solo poco fiato per respirare.
Una volta ottenuta la sabbia,
altro compito destinato a donne e bambini è quello di creare un impasto
mischiando la polvere con acqua e sostanze nocive come il mercurio o il cianuro,
capaci di legarsi all’oro.
Successivamente scaldando
questa “pasta” i cui fumi sono altamente nocivi, si recupera l’oro e parte del
mercurio.
Altri bambini vengono
impiegati per procurare acqua percorrendo decine di km al giorno con carichi
pesanti.
Non sempre è facile trovare
rocce aurifere. A volte bisogna scavare anche per mesi. In questo tempo i
lavoratori non vengono pagati dall’impresario che assicura loro solamente il
cibo.
Ci dice p. Jovier: “Alla fine il guadagno medio è di 2,5 € al
giorno per i più fortunati. Ma le conseguenze di questa corsa all’oro sono
drammatiche: le campagne vengono abbandonate e la produzione agricola che era
la principale fonte economica del Paese va riducendosi di giorno in giorno; il
tessuto sociale si disgrega e la vita in questi nuovi agglomerati fatiscenti dove
risiedono anche 7000 persone si svolge in condizioni inaccettabili. I bambini vanno
a lavorare con rischi elevatissimi per la salute rischiando la vita.
In molte zone del Burkina mancano le scuole e questo costituisce un
motivo ulteriore per spingere le famiglie a intraprendere la corsa all’oro. Ma
dove i bambini e i giovani hanno la possibilità di ricevere un’istruzione il
fenomeno ha proporzioni decisamente inferiori perché le famiglie sono convinte
che la possibilità di studiare costituisca l’unica strada per un futuro
migliore per i propri figli e per il Paese”.
Diceva Thomas Sankara, primo
Presidente del Burkina, che aveva a cuore il futuro del suo Paese:
“Una
delle condizioni per lo sviluppo è la fine dell’ignoranza. (...)
L’analfabetismo deve essere incluso fra le malattie da eliminare il più presto
possibile dalla faccia della Terra”.
Anna Maria Errera
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