giovedì 1 dicembre 2011

Il maestro: una figura da rivalutare

Avevo una venerazione per la mia maestra delle elementari. Quel che diceva era sacro per me e guai se qualcuno si azzardava a dire che aveva fatto qualcosa che non andava bene! A tal punto che in seguito, nonostante una laurea in matematica che mi apriva grandi sbocchi di lavoro e di carriera, ho scelto di fare l'insegnante di scuola media inferiore, l'attuale secondaria di 1° grado, proprio per dedicarmi a quell'età difficile in cui il confine fra l'infanzia e l'adolescenza è molto labile. Ma che fatica! Quanto tempo ho utilizzato per creare fra me e gli studenti quel rapporto di fiducia, che è la base per un apprendimento significativo. Perché non è affatto scontato che gli alunni e i loro genitori si fidino dell'insegnante; anzi, con il passare degli anni si è perduto sempre più, nel sentire comune, il rispetto verso la figura del docente, verso il suo ruolo di formatore.

Lungi da me rimpiangere il passato e l'idea obsoleta di una scuola nozionista con l'insegnante autoritario, ma penso sia corretto riflettere come nella nostra società del benessere abbiano preso piede dei modelli culturali che hanno sminuito molto l'istituzione scolastica; siamo stati indotti a pensare che in fondo la scuola serva a poco, che i valori che trasmette non aiutino ad accumulare denaro, che il sapere valga meno dell'avere e del potere. E siccome generalmente il maestro si affanna a combattere queste mistificazioni della realtà, questi falsi valori... gli si dà poco conto.
Qualche anno prima di andare in pensione, decido di chiedere il trasferimento su una cattedra del 1° CTP Nelson Mandela di Roma, situato a piazza Vittorio all'Esquilino, il quartiere multietnico della città e... come per magia inizio un'avventura straordinaria, che in qualche modo mi ha cambiato la vita, il punto di vista sulla vita. E' una scuola pubblica per adulti, ossia dai 16 anni in su. Gli studenti sono tutti migranti, vengono dai Paesi del Sud del mondo con percorsi scolastici decisamente eterogenei: dal laureato all'analfabeta, ma una cosa li accomuna: il desiderio di studiare, di conseguire il diploma. E nel loro stentato italiano non mi chiamano prof.: mi chiamano maestra. Che emozione sentirsi chiamare così! Non ho mai osato correggerli, anzi mi sono sentita piena di orgoglio per questo titolo che mi hanno sempre attribuito. Nel pronunciare questa parola, percepivo che ci mettevano dentro tutto il rispetto, tutta la riconoscenza verso chi restituiva loro una dignità spesso schiacciata nel Paese di provenienza. Il maestro per un africano del Darfur o un afghano, mai andati a scuola e arrivati nei barconi o sotto un Tir nel nostro Paese per scappare dalla guerra e dalle persecuzioni razziali, rappresenta una figura di riferimento, la via di salvezza.
Il mio stupore per la capacità di apprendimento di questi studenti si è rinnovato ogni anno: nel giro di pochi mesi imparavano a tenere la penna in mano, a parlare l'italiano e l'inglese, apprendevano la matematica, a navigare in internet. Delle intelligenze "vergini", capaci di assorbire la cultura come delle piante assetate dopo la calura dei giorni estivi, ritenendo una grande fortuna l'opportunità di frequentare la scuola. Molti di loro si sono diplomati, iscritti alla scuola superiore e qualcuno anche all'università e anche dopo qualche anno, so ancora molto di loro, mi chiamano, mi raccontano di altri compagni con cui sono in contatto, mi vengono a trovare, se hanno un problema mi cercano: "ciao maestra, come stai?" e in mezzo alla strada mi abbracciano con esuberanza davanti agli sguardi stupiti dei passanti che vedono una signora sessantenne sollevata in aria da un ragazzo dalla pelle color cioccolata.
Quanto ho imparato da questi alunni! Senza dubbio, più di quanto ho insegnato. Con i loro racconti mi hanno fatto viaggiare in luoghi irraggiungibili, perché spesso teatro di guerra, mi hanno fatto sentire afghana, marocchina, pakistana, irakena, congolese, sudanese... e sempre mi hanno regalato il sorriso, un sorriso pulito, aperto, pieno di speranza. Per questi giovani migranti, la scuola e il maestro sono parole dense di significato, si incarnano nella loro esperienza di ultimi della terra per proiettarli in un futuro migliore.
L'OPAM ha promosso da qualche anno la campagna "Adotta un maestro", e nella scorsa assemblea dei soci ho ascoltato alcune bellissime testimonianze a dimostrazione del fatto che il sostegno a questi insegnanti del sud del mondo sta aiutando noi a riscoprire e rivalutare la figura del maestro e a ridargli quella posizione che altri “falsi” maestri stanno loro togliendo… e questa è davvero reciprocità nel donarsi qualcosa, proprio come ho sperimentato con i miei ragazzi.


Carla Degli Esposti

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